Il mio primo lavoro

Da 25 anni conservo dentro un barattolo un biglietto del treno.

il biglietto che conservo da tanti anni

Qualche settimana fa, causa covid, ho rivissuto l’isolamento casalingo. Nove giorni a ciondolare in casa e rivivere le sensazioni del grande lockdown 2020. Ho ricominciato ad aprire cassetti e contenitori per fare ordine e buttar via cose che ho persino dimenticato di avere.

È così che ho ritrovato il biglietto del treno per Bologna: partenza da San Benedetto del Tronto il 20 giugno 1994.

Quel giorno ho lasciato la mia famiglia e ho iniziato un percorso di vita autonomo, lontano dai miei genitori e da mia sorella. Non lo ricordo quel giorno, non so perché. Non ricordo il momento in cui sono salita sul treno e non ricordo nemmeno l’arrivo a Bologna, una città che ho profondamente amato e dove sono rimasta quasi 4 anni.

Al distacco dalla famiglia mi ero già allenata, ero stata all’università a Macerata e poi lunghi periodi in Inghilterra e Russia per lo studio delle lingue. Però stavolta sarebbe stato diverso, non sarei più tornata a vivere in famiglia, anche se non lo sapevo ancora.

Sono partita per Bologna per lavorare come segretaria in una piccolissima società. L’azienda era composta da me e il capo. Fine.

Lui un ragazzo in gambissima, un venditore nato, riusciva a vendere manici di scopa persino in Sudafrica. Aveva anche la rappresentanza di due aziende tedesche che producevano macchinari per la lavorazione di materie plastiche.

Cosa c’entravo io con quel genere di prodotti? Assolutamente niente. Quello è stato il mio primo lavoro contrattualizzato, il mio punto di partenza. Dopo la laurea in lingue avevo fatto qualche traduzione per amici di amici, l’interprete alle fiere delle calzature, ma in una piccola realtà di provincia come quella in cui vivevo era tutto molto sporadico e senza nessuna continuità. Un mese guadagnavo bene, un altro due lire in croce.

L’aziendina di Bologna è stato il primo passo verso un’autonomia economica stabile.

Avevo incontrato il mio primo “capo” casualmente durante qualche giorno di vacanza nel mio paesino d’origine. Due chiacchiere, io che giravo sempre con il curriculum nella borsa e lui che cercava una nuova segretaria perché la sua si sposava e andava a vivere a Milano. Una coincidenza perfetta. Mi propose di andare a Bologna e io accettai.

A volte mi chiedo se sia stato un errore accettare quel lavoro e non aspettare invece un’occasione più in linea con le mie attitudini

A volte penso di no, altre volte penso invece di sì.

No, perché qualunque cosa è meglio che stare fermi con le mani in mano. Col tempo ho capito che solo muovendoci le cose intorno a noi si muovono.

Sì, perché quel primo impiego da segretaria – un lavoro che non è nelle mie corde – ha fatto sì che mi venissero proposti lavori di segreteria anche a distanza di anni, quindi ha condizionato il mio futuro.

Ho resistito nell’aziendina bolognese quasi 4 anni. Rispondevo al telefono, inviavo fax, archiviavo documenti e poco altro. Dopo un po’ non ce l’ho più fatta e mi sono messa a cercare un altro lavoro, qualcosa che mi desse più soddisfazione.

Qui sono a bordo di un jet privato durante un volo dimostrativo

Internet non esisteva ancora e gli annunci di lavoro venivano pubblicati sui quotidiani. Avevo un’amica, Rossella, che stava cercando anche lei un nuovo lavoro e ci siamo divise i compiti, lei monitorava alcuni quotidiani, io altri.

Un giorno Rossella mi chiama e mi dice “ho trovato l’annuncio giusto per te, sei proprio tu!”. A quanto pare aveva ragione perchè ho risposto a quell’annuncio su “Il Resto del Carlino” e ho trovato il mio nuovo lavoro: Segretaria di Direzione con conoscenza della lingua russa. Ed eccomi di nuovo nei panni di segretaria. Ma almeno stavolta era richiesta la conoscenza delle lingue, quello per cui avevo studiato. Facevo quindi un passettino in avanti, anche dal punto di vista economico.

Nell’annuncio non era indicata la sede di lavoro. Solo dopo aver superato le prime prove con la società di selezione, venni convocata per il colloquio finale con il Direttore generale a Rimini e scoprii che la sede di lavoro era l’aeroporto riminese. Al Direttore vennero presentate 3 candidate tra cui io.
Mi presentai con un paio di pantaloni verdi e un cardigan di lana a trecce dello stesso colore, camicia a fantasia, scarpa bassa, capelli lunghi e lisci e il mio solito approccio calmo, empatico, gentile. Venni scelta io, chissà perchè.

Nel giro di 15 giorni mi trasferii a Rimini, non mi diedero nemmeno il tempo di dare tutto il preavviso all’aziendina di Bologna, avevano urgenza di ricoprire la posizione. Un’amica mi aiutò a trovare un appartamento per un paio di mesi e altri due amici caricarono su un furgone gli scatoloni del trasloco.

Il 3 marzo del ’97 ero seduta alla scrivania della Segreteria di Direzione dell’aeroporto di Rimini, ci sarei rimasta quasi 18 anni.

Fu una scelta giusta per me? Oggi penso di no. E non mi riferisco al lavoro ma al trasferimento da Bologna, una città perfettamente in linea con il mio spirito e di cui ho ancora nostalgia. Con Rimini il feeling non è stato immediato e ancora oggi, a volte, ci osserviamo con sospetto.

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