Cambiare lavoro a 59 anni? Certo che si può, chiedete a Donatella

Donatella Righetti è stata la prima a rispondere al mio appello quando ho iniziato a cercare persone over 50 che si erano reinventate un lavoro. La prima che si è resa disponibile a raccontarmi il suo percorso, la prima con la quale ho condiviso l’idea del mio blog. E allora non potevo che cominciare da lei anche perché, udite udite, ha iniziato una nuova avventura professionale a 59 anni!
Donatella è un esempio di resilienza per tutti noi.

Ho un passato nel mondo dei servizi finanziari, una delle poche donne in un settore a stragrande maggioranza di uomini. Ho un carattere forte, temprato dalle prove della vita privata che ho dovuto affrontare. Ho scalato le tappe fino ad arrivare un gradino sotto l’AD. Ritmi intensi, vita da pendolare Bologna-Milano, nessun orario, sempre disponibile. Ero una professionista capace e con ottimi risultati professionali.

C’era però qualche “rospo” da mandar giù, giochi di potere che non mi piacevano e in cui non mi riconoscevo, un mondo che vedevo cambiare, e non in meglio. Un mondo che, in troppi casi, stava perdendo valori e scegliendo la strada della finanza facile.

A 51 anni rompo gli indugi, lascio il mondo bancario e accetto la proposta di una società nuova, tutta da costruire. La sfida mi piace e divento Direttore commerciale e poi Vice Direttore Generale. I risultati non tardano ad arrivare, ma un po’ alla volta i meccanismi si ripresentano, sempre gli stessi, e ancora una volta non riesco a scendere a compromessi.

E allora arriva il secondo atto di coraggio, di rispetto dei miei principi e delle regole, e decido di mollare di nuovo. Prima di tutto vengono la mia serietà e professionalità. Lascio un posto ambito e molto ben retribuito, lascio tutto e cerco di ricominciare.

A 54 anni non è facile, anzi, ma ricevo proposte, le esamino e scelgo. Riparto di nuovo da una start-up di un settore che conosco bene. Si ricomincia a lavorare senza orario e in giro per l’Italia. Ritmi frenetici, il telefono sempre incollato all’orecchio anche durante le ferie, la difficoltà di riuscire a far sentire la mia presenza ai familiari nel poco tempo trascorso con loro. Sono di nuovo Direttore Commerciale, ho una rete di uomini e donne da costruire, persone che mi seguono perché mi conoscono e si fidano di me.

Le cose vanno avanti per 5 anni ma forse chi va bene nella fase creativa delle start-up, non va altrettanto bene nella gestione della normalità. O forse all’inizio ti lasciano fare, ti lasciano costruire, poi, quando la macchina è rodata e si è raggiunto quello che si voleva, la tua coerenza, la mania di trasparenza e correttezza non vengono più accettati.

Quindi una volta creata l’azienda, pian piano anche qui si sono ripresentati i soliti meccanismi.

C’erano ‘le loro persone’ da sistemare e che non venivano mai contraddette, iniziavo a vedere gli sguardi d’intesa durante le riunioni. Io mi sono esaminata e mi sono chiesta anche il perché di questo. Sono una persona aziendalista ma non riesco a piegarmi a certi giochi, soprattutto quando fai promesse a qualcuno e poi scopri che nessuno ha intenzione di mantenere quegli impegni.

Alzarsi la mattina per andare a lavorare non era più un piacere ma un’angoscia. Dovevo guardare negli occhi le persone e dire che quello che avevo promesso non era più realizzabile, e questo mi creava malessere. Non facevo ricadere la responsabilità sull’azienda, non sarebbe stato corretto, anche se era la verità.  Mi addossavo le colpe e questo mi faceva stare male dentro, ogni giorno di più.

Ho provato ad andare avanti, non volevo mollare e arrendermi nuovamente.

Ho capito però che stavo tradendo i miei valori e stavo diventando anch’io come certe persone. Sono arrivata quindi alla conclusione che non potevo continuare così.

Ho comunicato la mia decisione di lasciare l’azienda, ho scelto di essere me stessa. Piegata dalla disperazione che vivevo ogni giorno, ho scelto la mia salute fisica e mentale, il rispetto dei miei valori, gli stessi che ho insegnato a mio figlio e che non potevo tradire. Ho lasciato di nuovo un posto ambito e molto ben retribuito, non chiedendo nulla, mi hanno pagato solo il mancato preavviso.

Questa scelta ha cambiato le condizioni economiche della mia famiglia, bisognava rinunciare ad alcuni privilegi che si consideravano assodati. Ma la famiglia mi ha sostenuta e mi ha spinta a compiere il salto nel vuoto.

Tutto da ricominciare, e questa volta l’età anagrafica segnava quota 59. E soprattutto non volevo più tornare nel mio settore: le ferite erano troppo fresche e facevano male.

Follia? No, fedeltà ai miei principi. Volevo essere un esempio per mio figlio.

Non avevo però nessuna intenzione di trascinarmi in attesa della pensione.
Sapevo di avere ancora energie e capacità di impiegarle

Mi sono presa un periodo di “decantazione”, poi ho sistemato il mio curriculum e ho Iniziato a presentarmi alle aziende del settore finanziario, dove potevo spendere la mia lunga esperienza. Stavolta però l’ho fatto da un’altra prospettiva, quella della vendita di servizi per la finanza.

Risultato: porte chiuse in faccia, aziende che non si prendono neanche il disturbo di rispondermi, neppure per semplice educazione.

Poi alcuni amici mi parlano di una start-up nel mondo dello spettacolo. Un settore totalmente nuovo per me e questo da una parte mi spaventa ma dall’altra mi stimola molto. Accetto ma pongo una condizione, voglio tempo per imparare. Sì, perché anche a 59 anni si può avere voglia di imparare, facendo leva su una forma mentis allenata.

I titolari della start-up mi dicono “Donatella l’età non conta, conta la testa che hai. E a noi è quella che interessa”. Nel mondo dello spettacolo, per la mia attività, l’età non fa paura anzi, è un valore aggiunto.

Oggi, dopo una vita passata a bussare alle porte per proporre denaro, busso alle porte per chiederlo, per avere sponsorizzazioni.

L’esperienza mi ha insegnato che quando si ricomincia, dopo essere stati molto in alto, è sbagliato pensare di farlo ripartendo dal basso. Vieni scoperto facilmente, si capisce da come lavori e questo non viene visto bene. Se hai passato anni in certi ruoli non puoi ritornare a fare l’impiegata, il modo che hai di porti tradisce la tua esperienza e il modo di esaminare le cose.

Nella vita ho anche imparato che puoi piangere ma il problema non si risolve, il pianto serve solo come sfogo, come dare un pugno a un muro o urlare. Sfogarsi è importante ma subito dopo si deve ricominciare a combattere e non arrendersi.

(La foto iè di Loredana Cecchini, scattata al molo di San Benedetto del Tronto, AP)

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2 commenti su “Cambiare lavoro a 59 anni? Certo che si può, chiedete a Donatella”

  1. Anch’io ho 59 anni e sono prigioniera di un lavoro che mi sta facendo ammalare. E l’idea di arrivare a 67 anni mi fa avere forti crisi di ansia. Avevo altre predisposizioni da ragazza, ma non sono state ascoltate. Chiusa in un ufficio 8 ore al giorno mi fa sentire prigioniera e spero sempre in un miracolo. Ma l’unico miracolo siamo noi…

    1. Capisco bene la sensazione che descrivi Laura, l’ho provata io stessa. Le aspirazioni giovanili si sono perse strada facendo per mille ragioni e mi sono ritrovata incastrata in un lavoro che a un certo punto non faceva più per me. Il licenziamento a 49 anni è stato un duro colpo ma anche l’occasione per mettermi in gioco e scoprire che avevo ancora la voglia e la capacità di ripartire.
      Di anni adesso ne ho 56 e ho ricominciato con un nuovo lavoro a luglio scorso. Il cambiamento è oramai la cosa più stabile che c’è nella mia vita! Somiglia a un controsenso ma è così.
      Scoprire le storie degli altri con questo blog mi è stato d’aiuto e incoraggiamento e spero lo siano anche per te.
      Grazie per la tua condivisione, Loredana

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